I presunti sforzi, da parte di alcuni marchi di beni di lusso e dei fornitori leader, di ridurre i costi senza compromettere la qualità hanno messo a dura prova coloro che operano nel profondo del settore. È difficile quantificare il numero degli interessati.
In base ai dati Istat, in Italia, nel 2015, 3,7 milioni di lavoratori in tutti i settori hanno prestato attività senza avere un contratto. In tempi più recenti, vale a dire nel 2017, l’Istat ha censito 7.216 lavoratori a domicilio, 3.647 nel settore manifatturiero, assunti con regolari contratti.
Non vi sono, tuttavia, dati ufficiali su quanti lavorano con contratti irregolari, e nessuno, per decenni, ha tentato di quantificarne il numero. Nel 1973, l’economista Sebastiano Brusco stimava che in Italia i lavoratori a domicilio impegnati nella produzione di abbigliamento erano pari a un milione, con un numero pressoché uguale che lavorava senza contratto. Da allora, sono stati compiuti pochi sforzi per verificarne i numeri.
La presente inchiesta condotta da The New York Times ha raccolto prove di circa 60 donne nella sola regione Puglia che lavorano nel settore dell’abbigliamento presso il proprio domicilio senza un regolare contratto. Tania Toffanin, autrice di Fabbriche Invisibili, un libro sulla storia del lavoro a domicilio in Italia, ha stimato che attualmente vi sono 2.000-4.000 lavoranti a domicilio irregolari, impiegate nella produzione di abbigliamento.
“Più si scende lungo la filiera di fornitura, tanto più aumenta l’illegalità”, ha dichiarato Deborah Lucchetti, di Campagna Abiti Puliti, sezione italiana della Clean Clothes Campaign, un gruppo di difesa per fare fronte allo sfruttamento. La Lucchetti ritiene che la struttura frammentata del settore manifatturiero globale costituita da migliaia di piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare, rappresenti una ragione chiave per cui prassi come il lavoro a domicilio non regolamentato possano avere un carattere prevalente anche in un paese come l’Italia.
Molti dirigenti di fabbriche pugliesi hanno sottolineato di aver recepito i regolamenti sindacali, di aver trattato equamente i lavoratori e di averli retribuiti adeguatamente. Molti industriali hanno aggiunto che quasi tutti i brand del segmento di lusso, ad esempio Gucci, di proprietà di Kering, o Louis Vuitton, di proprietà di LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton – hanno inviato regolarmente personale per verificare le condizioni di lavoro e gli standard qualitativi.